lunedì 9 giugno 2014

LA TEMPESTA

Rimasi colpito da quello sguardo che mi lanciava lei,  mi sconvolse la sua naturalezza nello stare lì, nuda, coperta solo da un panno candido, mentre allattava il suo bambino. 
Il cielo era carico di pioggia, era estate. Il temporale, pian paino, avanzava verso la città e io mi ero incamminato per tornarci. La roggia scorreva tranquilla quella sera d’estate e ricordo che gli uccelli, avendo avvertito l’arrivo della tempesta, si affannavano ad appollaiarsi in posti abbastanza riparati.
Gli alberi resinosi profumavano l’aria mossa da un vento prepotente e fresco, piacevole compagno del mio ritorno in città. Fu qui, più o meno vicino al ponte di legno, là dove antichi resti combattevano contro l’edera prepotente, pronta a soffocare quei nobili blocchi di marmo purissimo, proprio dove la roggia è attraversabile comodamente che una donna, bella, bionda, nuda allattava il suo bel bambino. Era seduta vicino a un cespuglio e la sua mole nuda sembrava perfettamente in armonia con la natura circostante. Mi vide e non disse nulla, mi osservò per qualche attimo e poi riprese a badare al suo piccolo che avidamente le ciucciava la poppa carica di latte. Distolsi lo sguardo dalla donna - devo ammettere che ero non poco imbarazzato – ed ecco che vidi un giovane uomo, con una lunga asta e capelli ricci, che la osservava. La guardava con un sorriso compiaciuto, da ragazzino che scherza con i compagni sulle vergogne di maschi e femmine. Stava oltre la roggia e non osava muoversi, ma rimaneva lì, nella sua posa da Adone, appoggiato al suo bastone, nelle sue vesti modeste, ma di colori brillanti. Non capivo se la donna lo avesse notato oppure solo io avevo attirato la sua attenzione.
Le nuvole correvano sempre più veloci sulle nostre teste e il cielo carico di pioggia riversava tra noi quell’odore caratteristico che sempre accompagna i grandi e straordinari temporali estivi. Il vento scuoteva le alte piante che circondavano la piccola radura e mentre io contemplavo la giovane qualche uccellino ritardatario si era affrettato a correre sopra un solido ramo.
Di nuovo spostai il mio sguardo dal giovanotto impertinente alla bella fanciulla dai capelli biondi. Ella ancora fissava il suo angioletto che avidamente si nutriva di quell’oro bianco che dà la vita e la forza. Una visione celestiale! Ecco come i Magi si sentirono quella giorno quando videro lo spettacolo della Vergine con il suo pargoletto! Mi parse di essere proprio come uno di quei sapienti d’Oriente e mi parse che quella soave fanciulla altri non fosse che la Madonna Madre di Dio!
Indugiai a lungo e colmai i miei occhi di quella scena, come se mi trovassi dinnanzi a un affresco immane io mi incantai dinnanzi a quella scena così celestiale. Sparì la città, sparirono gli alberi e gli uccellini impauriti dal temporale in arrivo, sparì il giovanotto, sparirono le rovine: solo lei e il bambino.

Lei alzò lo sguardo, lo girò verso la città e poi, improvvisamente, lo impiantò su di me: non appena mi guardò fisso negli occhi un lampo attraversò il cielo sopra la città.

Giorgione, Paesaggio con figure (la tempesta)

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